giovedì 22 ottobre 2015

Ma questo sinodo a che serve?


Il tema della comunione alle coppie divorziate e risposate sembra essere diventata la questione più pressante sulla quale la Chiesa cattolica si deve esprimere. Lasciando perdere il perché e il percome di questo smodato interesse, probabilmente strumentale, per una questione tutto sommato marginale, ma che a detta di qualcuno, se non risolta, porterebbe a scismi, divisioni e fratture insanabili in seno alla Chiesa, rimane ancora da capire quali siano i dubbi, le perplessità, le necessità di chiarimento e approfondimento sul tema in sé. Questione dottrinale, pastorale, giuridica? Davvero se non si arriva a una posizione che sia o l'accettazione di una posizione considerata accomodante o quella di una posizione considarata intransigente ne viene meno l'integrità della Chiesa?

Come sappiamo se ne sta discutendo al Sinodo in corso a Roma. Cioè, papa Francesco ha indetto non uno, ma bensì due sinodi per discutere sul tema della famiglia. Il primo preparatorio e straordinario, il secondo, dopo un anno di digestione, è quello che dovrebbe concludere la disamina del tema. Che, vale la pena ripeterlo, è la famiglia, questione che evidentemente è un po' più ampia della più ristretta questione della comunione ai risposati.

A me sorprende che dopo appena 35 anni dalla V Assemblea Generale Ordinaria dell'autunno 1980, dedicata alla famiglia cristiana, sia stato necessario ritornarci sopra e fare addirittura due sinodi dedicati allo stesso tema. Evidentemente il Papa si è giustamente convinto che ce ne fosse bisogno, che i pastori di oggi se ne siano dimenticati... Anche perché quel sinodo del 1980 portò alla pubblicazione da parte di san Giovanni Paolo II della esortazione apostolica Familiaris Consortio, uno dei documenti più importanti e noti del magistero del papa polacco. Certo, si tratta di una esortazione apostolica che gerarchicamente è un po' sotto una costituzione o una lettera enciclica, però è un documento che ha dato frutti, teologici e pastorali, enormi. Ad esempio lo stesso Giovanni Paolo II, sulla spinta della novità della Familiaris Consortio, decise di creare addirittura un istituto teologico e formativo dedicato proprio al tema del matrimonio e della famiglia. Un istituto universitario che il papa decise di intitolare a se stesso, tanto per rimarcarne l'importanza. Si fatica perciò a comprendere perché oggi, dopo tutto sommato pochi anni, tutti 'sti vescovi abbiano davvero bisogno di rimestare la cosa e ripensarci. Ma come detto, lasciamo perdere i retropensieri sull'operato di certi ambienti. L'unico dubbio è che non l'abbiano letta.

A quanto si apprende i cosiddetti circoli minori, gruppi linguistici ristretti di partecipanti al sinodo, stanno scrivendo e approvando documenti di sintesi e proposta a partire dal famigerato Instrumentum laboris. E a quanto pare sono ancora lì a discutere su cosa trannere e cosa no della Familiaris Consortio, in particolare del numero 84, paragrafo dedicato proprio ai divorziati risposati.

Il punto è che non c'è davvero nessun motivo perché i padri sinodali, dopo un anno e dopo due sinodi, non decidano semplicemente di buttare nel cestino il documento preparatorio Instrumentum laboris e di votare quindi un documento che dice in sintesi: «per ciò che riguarda il tema delle sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione si veda e si segua per intero quello che c'è scritto nella Familiaris Consortio.»

Ma cosa dice davvero il n°84? Intanto il punto è parte del paragrafo e) intitolato I divorziati risposati che è all'interno del capitolo Azione pastorale di fronte ad alcune situazioni irregolari. Vediamo cosa dice.

84. L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.
Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l'indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.
Era già chiaro nel 1980 che la famiglia era messa male e che la ferita del divorzio, in Italia in particolare, era ancora fresca. Non è che siccome è passato un po' di tempo la ferita si sia magicamente rimarginata: «il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile», anche oggi. Giovanni Paolo II già diceva che i pastori, «per amor di verità, debbono discernere le situazioni», cioè non devono fare di ogni erba un fascio, ci devono mettere un po' di neuroni e ci devono mettere la faccia. Anzi, il santo polacco esorta i pastori affinché aiutino i «divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa». Se non è chiaro questo è evidente che il problema non è né dottrinale, né pastorale, né altro. Il problema è che i pastori, e primi fra tutti i vescovi, non hanno la capacità di offrire questo aiuto, quindi è prima di tutto un problema di autocoscenza e quindi di fede. Io, da profano, posso capire che aver a che fare con un divorziato, che si è risposato, che poi decide o addirittura in certi casi pretende di essere riammesso alla Santa Comunione, sia una rogna. Ancor di più immagino la difficoltà di un prete che si trova a distribuire la comunione durante la messa e si trova a quattr'occhi con uno che gli è noto e di cui magari ben conosce la situazione di risposato. Chissà quanti ne passano ogni domenica in tute le chiese... Ma non è che siccome c'è un problema che si è incapaci di risolvere si cambia la regola.
Oh, ragazzi, avete voluto voi farvi preti, mica vi è stato promesso che sarebbe stato facile. Pensate che fare il marito sia più facile? Pensate che stare tutti i giorno con una donna, un soggetto umano che non sei tu, sia una passeggiata? Pensate che stare con un branco di figli adolescenti brufolosi sia meglio?
La regola è chiarissima, se vuoi la comunione e ti sei risposato, non bastando la confessione perché ti trovi in una situazione di perdurante peccato, o ti ri-sapari oppure, se non puoi («discernere le situazioni» dice la Familiaris Consortio), ti astieni. Insomma, hai già divorziato una volta da un vincolo sacramentale, te ne fai una ragione e ti metti a posto. Immaginiamo solo la richezza che potrebbe portare in un rapporto coniugale, per quanto irregolare, la decisione comune di fare un tal sacrificio. A questo devono educare i pastori, mica a trovare o concedere scorciatoie. Non ne esistono, non ci sono: divorziare e risposarsi civilmente mette la persona (probabilmente due) in un vicolo cieco. Se ne esce solo come dice la Familiaris Consortio e con la grazia di Dio.

Perciò mi chiedo, ma di che cavolo stanno discutendo in Vaticano?

venerdì 16 ottobre 2015

Il dibattito su Inside Out, capolavoro Pixar

Un po' di recensioni e commenti che ho trovato interessanti sul nuovo film Pixar di Pete Docter.