venerdì 2 maggio 2008

Gianfranco Fini è anche lui un ateo devoto? O è nato a Ratisbona?

Ho ascoltato quasi per caso il discorso di insediamento di Gianfranco Fini alla presidenza della Camera dei Deputati. A bocca aperta.

I commenti che ho letto e sentito erano tutti incentrati sulla pacificazione nazionale, sul 25 aprile, sulla legislatura costituente, sull'omaggio al tricolore.

Quasi nessuno si è soffermato sui punti più eclatanti e, in parte, stupefacenti, del discorso di Fini. L'omaggio a Benedetto XVI e l'affondo sul relativismo culturale.

Le parole del neo Presidente della Camera sembrano tratte da un editoriale de Il Foglio, sembrano un commento del Giulianone al discorso del Papa alla Sapienza o a quello di Ratisbona.

Prima definisce Benedetto XVI
[...] guida spirituale della larghissima maggioranza del popolo italiano e indiscussa autorità morale per il mondo intero, come dimostrato anche dal suo recente, mirabile discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Poi arriva a dire:
La laicità delle istituzioni è principio irrinunciabile della nostra come di ogni moderna democrazia parlamentare ed è proprio nel nome di tale principio che il Parlamento deve saper riconoscere il ruolo fondamentale che nell’arco dei secoli la religione cristiana ha avuto e ha tuttora nella formazione e nella difesa della identità culturale della nostra patria. [...]

Ancora sul relativismo:
La minaccia (alla libertà, ndr) non viene di certo dalle ideologie antidemocratiche del secolo scorso, che sono ormai sepolte con il Novecento che le ha generate. I rischi per la nostra libertà sono oggi di tutt’altra natura. L’insidia maggiore viene dal diffuso e crescente relativismo culturale, dalla errata convinzione che libertà significhi assoluta pienezza di diritti e pressoché totale assenza di doveri e finanche di regole. La libertà è minacciata nello stesso momento in cui - come sta avvenendo per alcune questioni - nel suo nome si teorizza una presunta impossibilità di definire ciò che è giusto e ciò che non lo è .

Infine sull'educazione:
Essere consapevoli di questo pericolo e sventarlo è dovere primario della politica, se davvero vuole onorare il suo primato. Ed è compito delle istituzioni ed in primis del Parlamento riconoscere e valorizzare il ruolo centrale che, nella difesa della libertà autenticamente intesa, hanno l’educazione dei giovani e la diffusione del sapere.

O Fini è un furbone (lo è certamente, come lo è ogni politico) che ha preparato o fatto preparare un discorso che in mezzo alla solita accozzaglia di inevitabili luoghi comuni è riuscito a ficcare argomenti "che tirano", apprezzati da tutta quella parte di popolo italiano che alla "tradizione cattolica" credono ancora o è mezzo impazzito.

Relativismo culturale, educazione, radici cristiane sono certamente espressioni di moda e in molti se ne sono riempiti la bocca. Ma qui non sono state usate in un comizio o da Vespa, sono state usate in Parlamento, da uno che "ha convintamente sostenuto la Legge 40".

C'è un effettivo stridore se si confronta quanto ha detto Fini con il discorso di Schifani al Senato (con i soliti "sarò il presidente di tutti" e amenità varie). Quella di Fini è una rivoluzione copernicana, un inizio impensabile sia per lui sia guardando la storia degli ultimi anni.

Da un governo nazionale che non è riuscito a proteggere minimamente il Papa nei giorni dello sconcio della Sapienza (i "cattolici adulti" che governavano l'Italia hanno lasciato il Papa, massimo esponente della religione che ha fatto la storia del paese e massimo autorità di uno stato sovrano, a vedersela da solo con l'affronto che gli veniva rivolto in uno dei luoghi simbolo della cultura italiana, quasi non fossero fatti loro) e quando è stato strumentalizzata la sua parola da parte di tutto il mondo musulmano (governi compresi) ai tempi della lectio di Ratisbona, a un Presidente della Camera che cambia pagina e pone al centro dell'attività politica e parlamentare alcune delle questioni su cui Benedetto XVI ha tanto insistito.

Cioè, entra l'idea che anche in politica e nelle istituzioni si possa usare la ragione nel modo corretto, attraverso l'"ipotesi della possibilità". Il problema non è l'ingerenza o meno della Chiesa e della religione nella vita pubblica, ma verificare se quanto ha da dire e da dare il cristianesimo sia preso in considerazione in modo aperto, senza pregiudizi. Laicità dello stato senza paraocchi insomma. Una intuizione che Giuliano Ferrara ha avuto da tempo.

Non ho la minima idea se Fini crede davvero alle parole che ha detto e magari è solo reclame. Certo è che le ha dette da terza carica dello Stato, a Montecitorio, all'inizio di una legislatura e di una fase poilitica che ci deve dire, tra le altre cose, se la laicità dello Stato è uno slogan o è una cosa seria. Se è una cosa seria si deve usare il termine "laicità" nel modo corretto e la politica ci deve far sapere se intende farlo. Quello di Fini è un inizio, passato sotto silenzio, ma decisamente sorprendente.

1 commento:

Giorgio ha detto...

Egregio direttore,

Gianfranco Fini è anche lui un ateo devoto? O è nato a Ratisbona?
Ho ascoltato quasi per caso il suo discorso di insediamento alla presidenza della Camera dei Deputati. A bocca aperta.
Relativismo culturale, educazione, radici cristiane sono certamente espressioni di moda e in molti se ne sono riempiti la bocca. Ma qui non sono state usate in un comizio o da Vespa, sono state usate in Parlamento, da uno che "ha convintamente
sostenuto la Legge 40".
Un Presidente della Camera che cambia pagina e pone al centro dell'attività politica e parlamentare alcune delle questioni su cui Benedetto XVI ha tanto insistito. Impressionante!
Cioè, entra l'idea che anche in politica e nelle istituzioni si possa usare la ragione nel modo corretto, attraverso l'"ipotesi della possibilità". Il problema non è l'ingerenza o meno della Chiesa e della religione nella vita pubblica, ma verificare se quanto ha da dire e da dare il cristianesimo sia preso in considerazione in modo aperto, senza pregiudizi. Laicità (anche dello Stato) senza paraocchi insomma. Una intuizione che Lei direttore ha avuto da tempo.
Non ho la minima idea se Fini crede davvero alle parole che ha detto o magari è solo reclame. Certo è che le ha dette da terza carica dello Stato, a Montecitorio, all'inizio di una legislatura e di una fase poilitica che ci deve dire, tra le altre cose, se la laicità dello Stato è uno slogan o è una cosa seria. Se è una cosa seria si deve usare il termine "laicità" nel modo corretto e la politica ci deve far sapere se intende farlo. Quello di Fini è un inizio, passato sotto silenzio, ma decisamente sorprendente.

(Questa è la versione ridotta inviata a Il Foglio il 2 maggio 2008.)