Personalmente
uso Google da circa 15 anni, cioè da quando abbandonai Yahoo! perché mi
aveva colpito la home page del nuovo motore di ricerca, bianca, pulita e
sobria. In questi 15 anni non ho mai tirato fuori una lira o un euro in
modo diretto per acquistare qualcosa dalla grande G. Nemmeno con le
mappe, con GMail, con Books e con YouTube o con qualunque dei millemila
servizi offerti dalla società di Mountain View. Ho un account Google, ma
lo uso pochissimo, anzi quasi mai e non l'ho mai usato per farci
transitare soldi dalla mia carta di credito. Eppure sono sicuro che il
mio semplice navigare partendo dall'indirizzo www.google.com ha
contribuito a far crescere, sia pur in maniera infinitesimale, il
fatturato di Google Inc. fino ai 66 miliardi di dollari del 2014. Ora,
Google può piacere o meno, si può criticare un modello di businness
così, impalpabile, indiretto, quasi misterioso, fatto di AdSense e di
prodotti e servizi informativi inspiegabilmente del tutto gratuiti per
l'utente finale. Ma che dopo 15 anni l'Unione Europea si ponga di fronte
ad una realtà del genere con lo stesso metro e la stessa sensibilità
utilizzata per decenni per le quote latte e per le politiche agricole mi
lascia perplesso. E' passata un'era geologica dai tempi della multa a
Microsoft per la vittoria sporca nella guerra dei browser che tutto
sommato era una questione semplice: comperavo un PC, mi trovavo Windows
preistallato (e lo pagavo, direttamente, lire sonanti), zio Bill mi
costringeva a usare Internet Explorer. Persino Monti era riuscito a
capirci qualcosa, tanto era chiara la fregatura. Ora con BigG la cosa è
un pelo più complessa, tanto che siamo già ben oltre ai concetti di
social payment e Margrethe Vestager sembra invece trattare Google come
un produttore di parmesan taroccato dell'Ohio. Si diventra euroscettici
per forza...
Nessun commento:
Posta un commento