martedì 20 agosto 2019

Fumo

Ho fumato per quasi quarant'anni. Il 21 gennaio 2017 sono entrato per la prima volta nella mia vita in un negozio di sigarette elettroniche. Ne sono uscito con una box (una scatoletta con un circuito elettronico che serve per fornire l'energia elettrica), un paio di pile ricaricabili del giusto tipo, un atomizzatore (il dispositivo che produce il vapore) e qualche boccetta di liquido. Dopo una settimana ho stancamente finito le sigarette che avevo e non ne ho più comprate.

Da quel giorno è iniziata la mia piccola/grande avventura di aspirante-ex-tabagista. La mia prima sigaretta elettronica, a cui ne sono seguite altre perché poi la cosa è diventata un piccolo hobby, mi ha permesso di stare distante dal fumo, quello vero, quello cancerogeno prodotto dalla combustione del tabacco. I benefici sono stati enormi. Dopo decenni di fumo ero stufo marcio.

Ho provato a smettere decine di volte, ma senza mai riuscirci. Non è facile, non lo è per nessuno. Non basta dire "Smetto!". Se fosse facile significherebbe che Phillip Morris, British American Tobacco e soci hanno investito per nulla miliardi di dollari in ricerca e sviluppo nell'arco di quasi un secolo. Non hanno investito per nulla, hanno investito per tenere i fumatori legati, dipendenti, ai loro prodotti. E per decenni ci sono riusciti moltiplicando i loro profitti.

La sigaretta elettronica è dannosa? Può essere, ma l'esperienza di centinaia di persone, me compreso, dimostra che quanto meno non fa male come il fumo di sigaretta. Non si brucia il tabacco, non c'è combustione, non c'è il catrame e non c'è il fumo veicolo di centinaia di sostanze tossiche. C'è solo vapore prodotto da una miscela di glicole propilenico, glicerina vegetale, aromi alimentari e, volendo, nicotina. Il prodotto è un aerosol di queste sostanze, di certo meno dannose del fumo derivante dalla combustione di carta e tabacco trattato.

I medici, l'OMS, il ministero italiano della salute, non sono ancora concordi sull'uso della sigaretta elettronica. Dicono che non ci sono studi certi sulla sua dannosità (sempre che lo sia) e sui sui benefici come mezzo per smettere di fumare.

Esiste però un concetto, quello di "riduzione del danno", che sembra essere abbastanza accettato. Se usi la sigaretta elettronica, e questo ti ha fatto smettere di fumare, stai quanto meno riducendo il danno. Anzi, i cardiologi e gli oncologi più seri (Veronesi ad esempio), quelli che stanno tutto il giorno in corsia e in sala operatoria, si meravigliano che non ci sia una spinta decisa verso il fumo elettronico. Se la e-cig ti tiene distante dal fumo di sigaretta questo è quanto meno positivo. La nicotina che assumi con la e-cig compensa quella che non assumi fumando e questo ti aiuta a star lontano dal fumo tradizionale.

Secondo alcuni e secondo la sanità pubblica britannica il vapore "digitale" è per il 95% meno tossico del fumo delle sigarette "analogiche". Si sono accorti che la gente così smette di fumare, e si riduce nel contempo il numero di ammalati. In Inghilterra ci stanno pensando seriamente a favorire l'uso della e-cig come strategia per la lotta al tabagismo.

E in Italia? Da noi è un po' diverso. Il ministero della salute tace, l'Istituto Superiore di Sanità nicchia. Il Governo e il Parlamento fanno leggi per fare cassa e in questo modo affossano il settore. In buona sostanza, con la legislazione attuale, il cui ultimo tassello è stato posto nella legge di bilancio 2017, "svapare" costa di più che fumare.

Per capire perché allo Stato italiano interessi così poco il settore delle e-cig e anzi la tendenza sia quella di boicottarlo in tutti i modi, bisogna fare due conti. Lo Stato italiano spende, a seconda delle fonti, una cifra tra i 7 e i 9 miliardi di euro all'anno per le cure di malattie oncologiche e cardiovascolari legate direttamente al fumo. Ne incassa però 15 dalle accise sui prodotti per fumatori. Il saldo è ampiamente positivo e chi ne trae giovamento è il bilancio statale. Da questi numeri si capisce che chi smette di fumare contribuisce all'aumento del debito pubblico. Se tutti i tabagisti italiani smettessero di fumare la spesa sanitaria relativa si annullerebbe, ma si annullerebbero anche le entrate fiscali derivate dalla vendita di sigarette. La tassazione sporpositata dei prodotti per fumo elettronico, in particolare dei liquidi, anche se non contenenti nicotina, è necessaria allo Stato proprio per compensare il gettito mancante. Se smetto di fumare non contribuisco più alle entrate statali, quindi, se inizio a svapare, devo in qualche modo compensare con accise altrettanto pesanti sul mio consumo di liquido "elettronico".

E la riduzione del danno? Non è evidentemente importante. Il Governo ha priorità diverse, deve far cassa e reggiungere il pareggio di bilancio, non ha immediato interesse a mettere in campo o favorire azioni volte al miglioramento della salute dei cittadini.

Chi da oggi decidesse di smettere di fumare passando alla sigaretta elettronica si troverebbe immediatamente di fronte a una scelta economicamente tutt'altro che vantaggiosa. Se per usare le e-cig spendo di più che a fumare è evidente che sono meno invogliato a seguire la strada della riduzione del danno.

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