lunedì 6 luglio 2015

Logan 3 fuggirebbe da un mondo in cui si possono pubblicizzare solo pannolini unisex?


In un precedente post avevo parlato dell'ingiunzione dell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) nei confronti di uno spot dei pannolini Huggies e del gran polverone che ne è derivato. In realtà quando è uscita la notizia il testo dell'ingiunzione non era ancora disponibile sul sito dell'Istituto. Da qualche giorno però è possibile leggerlo ed è quindi possibile trarre qualche conclusione su questa incredibile vicenda.

Ricordiamo che la società Kimberly-Clark produttrice dei pannolini, è finita nell'occhio del ciclone per uno spot considerato sessista. A seguito di alcune segnalazioni, il Presidente del Comitato di Controllo di IAP ha considerato lo spot «manifestamente contrario agli art. 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona – e 11 – Bambini e adolescenti – del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale».

Il testo dell'ingiunzione è interessante e merita qualche preciso commento.

Cosa viene contestato allo spot? Innanzitutto:
Nello specifico, si propongono [nello spot, n.d.a.]:
– per la bambina gli stereotipi del pensare a “farsi bella”, “cercare tenerezza” e “farsi corteggiare da un uomo”;
– per il bimbo si ricorre al desiderio di “fare goal”, di “avventure” e “cercare le donne”.
Quindi l'Istituto considera il desiderio di "farsi bella", di "cercare tenerezza" e di "farsi corteggiare da un uomo" stereotipi. Cioè versioni semplificate se non semplicistiche dell'immagine della donna. Si deve tener conto che una visione diventa stereotipo in un certo contesto. Dire che per bimbi di età compresa tra 0 e 2 anni (più o meno l'età dei fruitori dei pannolini incriminati) questi siano stereotipi mi sembra forzato. Cioè in questo caso siamo fuori contesto. Certo, i bersagli dello spot non sono i bambini (quelli della Kimberly-Clark non sono così idioti), ma le mamme. Ma, lo vedremo in seguito, l'Istituto non sembra averlo capito.
Dire che una donna (nel senso di appartenente al genere femminile) desideri farsi bella, cercare tenerezza e, perché no, farsi corteggiare da un uomo sono cose di una tale banalità che non si capisce bene dove sia la visione semplificata, lo stereotipo. Il problema qual è? Che le donne devono desiderare di farsi corteggiare anche dalle donne? Sarebbe questo il contenuto di un messaggio non sessista?
Le tre frasi incriminate sono certo una semplificazione pubblicitaria, ma sono anche frutto di una osservazione della realtà antropologica che affonda le sue radici in millenni di storia e di cultura umana. Davvero dire che le donne, da sempre, cercano di rendersi più belle agli occhi degli uomini è sessita? In quasi tutte le specie animali un esemplare di un sesso cerca di attirare l'attenzione dell'altro sesso per motivi meramente riproduttivi (anche se è vero che in natura di solito è il maschio che cerca di attirare la femmina e cerca di convincerla all'accoppiamento). L'homo sapiens ha portato questo concetto in un contesto tipicamente umano che è quello culturale, specificità del genere umano rispetto a quasi tutto il resto della natura. Cercare tenerezza non è un stereotipo, è la base dell'essere uomo o donna.

A questo punto però sorge spontanea la domanda: la pubblicità è in genere immune dal veicolare messaggi come questi, donne che vogliono essere belle, che cercano tenerezza e che cercano di farsi corteggiare da un uomo? Mi pare proprio di no e quindi mi chiedo perché l'IAP non contesti anche il contenuto di tutta quella paccottiglia di spot che giornalmente ci vengono proposti dalle TV e dai media. Basta fare una ricerchina su Google Immagini immettendo come criterio di ricerca "pubblictà profumi" per avere un'idea precisa di quali sono i messaggi tipicamente veicolati dai pubblicatari. Volti (e corpi) notissimi al grande pubblico prestati alla pubblicità per dire in sostanza: «se ti metti questo profumo avrai maggiori possibilità di incontrare l'uomo dei tuoi sogni, ti sentirai più bella e seducente e troverai tutta la tenerezza che cerchi e forse anche qualcosa di più tangibile». Davvero si può pensare che la bellissima Natalie Portman sia lì per dire qualcosa di diverso alle donne che compreranno il profumo Miss Dior?


Lo stesso analogo discorso lo si potrebbe fare per i profumi e i dopo-barba maschili. I profumi sono rigorosamente diversi per uomini e donne, sono sessiti come pochi altri prodotti, lo sono tanto quanto e forse più dei pannolini Huggies Bimbo e Bimba.
Ma ci sono anche altri esempi. Le immagini veicolate dagli spot degli assorbenti intimi femminili sono tipiche e standardizzate, perché rivolte a un target ben preciso di consumatrici. Le donne che compaiono sono di norma appena carine, mai giovanissime, certo non sono campionesse di seduzione, sono volti acqua e sapone che hanno tutte più o meno le stesse caratteristiche: sono leggermente sofferenti, a tratti insicure, spesso un po' goffe nei movimenti. Il messaggio veicolato è sempre qualcosa del tipo: «se non hai un assorbente intimo che fa bene il suo lavoro la tua giornata può essere un incubo, lo capiamo tutti, quindi comprati il mio prodotto: "sicura e protetta, asciutta e pulita".»



Perché quindi l'Istituto non interviene su tutti questi spot? Materia, tra l'altro, degna delle più antiche e feroci battaglie femministe. Non c'è sessimo nel dipingere "per spot" una donna alle prese con il prurito intimo che le impedisce di avere normali rapporti sociali?

Prosegue l'ingiunzione:
[...] una tale narrazione [quella dello spot, n.d.a.] è suscettibile di porsi in contrasto con l’articolo 10 del Codice, laddove prevede il divieto di “ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere”.
Questa frase è l'apoteosi della mancanza di buon senso, della mancanza di contatto con la realtà. La realtà ha una caratteristica: è più grande di ciò che ognuno di noi riesce a percepire e l'errore comune che commette ogni persona, anche quella mooolto intelligente, è di ridurre la realtà alla sua misura.
L'Istituto riterrebbe non disciminatorio uno spot che, indipendentemente dal sesso biologico, affermasse che un maschietto pensa a “farsi bello, “cerca tenerezza” e pensa a “farsi corteggiare da un uomo”; si dovrà invece dire, per non essere sessisti, che una femminuccia desidera “fare goal”, cerca “avventure” e passa il tempo a “cercare le donne”. Oppure mescoliamo il tutto in un bel calderone dove ognuno fa quello che gli pare, pure la pipì.

Poi:
È noto che a diversi livelli si è sviluppata nella società civile una massa critica, che mira a sollecitare una maggiore consapevolezza sui temi della dignità della persona e del rispetto dell’identità di genere.
Qui l'Istituto scopre le carte e ci dice chiaro e tondo qual è la fonte: è la "massa critica" che cerca il "rispetto della identità di genere". Massa critica che, lo sappiamo, è la lobby genderista. Meglio, è formata da tutta quella enorme porzione dell'opinione pubblica che supinamente si adatta ai diktat del genderismo dilagante, perché chi si oppone si becca immediatamente l'epiteto di omofomo.

Ma l'apice viene dopo:
Non è certamente la proposizione di un modello convenzionale o ricorrente di per sé ad essere invisa, ma la banalizzazione della complessità umana, quando il modello viene vissuto con una carica deterministica, restrittiva e pertanto degradante, quasi che necessariamente la donna debba essere “bella, madre e preda” e l’uomo “goleador, cacciatore e avventuroso”

Quindi, secondo l'Istituto, non è il modello convenzionale e ricorrente il problema, ma la banalizzazione della complessità umana. A parte la doverosa segnalazione del fatto che prima l'Istituto aveva detto proprio il contrario, le parole chiave qui sono "banalizzazione" e "restrittiva" (lasciamo perdere quella "carica deterministica" che è fumo negli occhi e quel "degradante" che è tutto da dimostrare e l'Istituto non ha gli argomenti per dimostrarlo anche se scrivesse duecento pagine di ingiunzione).

Qui ciò che viene banalizzata è una storia di migliaia di anni, un lungo e tortuoso percorso della storia dell'umanità che, con mille limiti, sbagli e difetti, ha portato a quello che è forse il più grande capolavoro della cultura umana: il riconoscimento e la definizione in tutti i suoi aspetti di quello che si può definire in senso lato "amore". Cioè la richezza, la complessità e la bellezza di quel frutto della ragione e dell'affettività umana che è il rapporto affettivo e pieno di ragioni tra un uomo e una donna, frutto e apice della parabola umana che poi si è reso evidente e concreto nel concetto di famiglia, in quel difficile lavoro che è l'essere marito e moglie, mamma e papà, genitore e figlio, maestro e allievo. Dopo millenni di progresso umano l'Istituto ci dice che tutto ciò è "restrittivo", che questo "modello" è "degradante".  Categorie come "[donna] bella" e "madre" sono restrittive secondo l'Istituto (tralascio "preda" perché è evidente in questo caso che di banale c'è solo l'utilizzo di questa parola da parte dell'Istituto). Invece sono due delle colonne dell'evoluzione umana, evoluzione culturale e antropologica e quindi, per questo, naturale. Ma tant'è, i censori pubblicitari questo faticano a capirlo e la "massa critica" a cui rispondono è interessata ad altro.

L'affondo successivo dell'ingiunzione è poi di stampo tipicamente ideologico:
Simili comunicazioni, anche aldilà delle intenzioni, veicolano contenuti che cristallizzano modelli non sentiti più attuali e comunque rigidamente restrittivi, che come tali sono suscettibili di urtare la sensibilità del pubblico, in quanto rappresentano ostacoli per una società moderna e paritaria.

Una società moderna e paritaria, quella in cui non c'è distinzione alcuna tra uomo e donna nella vita sociale, civile, economica, ma anche affettiva, culturale e familare di un popolo. Tale e quale alle società imposte dal socialismo, dal nazismo e a tutte le immaginifiche società perfette descritte con ugual enfasi dai migliori filosofi moderni come dai migliori scrittori di fantascienza. L'Istituto paladino di un mondo che vuol essere nella sostanza paritario e moderno come i mondi descritti da Tolkien nella sua Contea collettivizzata alla fine de Il signore degli anelli o da Orwell nella sua Fattoria. Una società perfetta in cui si vendono solo pannolini unisex. In un mondo così spero solo di avere quel minimo di acutezza mentale che ha permesso a Logan di fuggire...

La conclusione dell'Istituto è da Oscar (anzi da Telegatto, visto che si parla di TV):
Oltre a ciò tali comunicazioni, come nel caso del telecomunicato Huggies, hanno ripercussioni anche sui minori, non ancora pronti ad una corretta elaborazione critica del messaggio pubblicitario cui possono certamente essere esposti considerando il mezzo di diffusione utilizzato, potendo creare non solo disordine nel loro immaginario, ma soprattutto la possibilità di banalizzazione della figura femminile e maschile abusando della loro naturale credulità e mancanza di esperienza.
Qui la confusione, o la malafede fate voi, è evidente. Lo dobbiamo davvero sottolineare che bambini in età da pannolino sono un po' piccolini per essere bersaglio di tali categorie? Dobbiamo davvero dirlo che gli spot Huggies sono rivolti alle loro mamme? Alle mamme, sia chiaro, non ai papà, non ai genitori 1 e genitori 2, ma proprio alle mamme, mamme vere, quelle che sono passate attraverso le doglie del parto e che hanno allattato e allattano 'sti piscioni di bambini?

La censura genderista è stupida, perché circoscrive la realtà a quello che riesce a vedere attraverso gli occhiali deformati e limitanti di un approccio ideologico. La censura genderista è banale, come banale può essere solo il male.

Nessun commento: