Valentino Rossi è un genio. Lo si sapeva già, ma la cosa non smette
mai di stupire. E’ riuscito in due settimane a passare dalla parte del
torto a quella della ragione e a far apparire i suoi due avversari due
patetici imbroglioni. Cioè, prima, in diretta mondiale, scaraventa
Marquez per terra con un calcione che la testata di Zinédine Zidane
sembra un buffetto cresimale. Come buttare al vento vent’anni di
carriera, la più luminosa nel mondo dei motori. Ha fatto quello che
nessuno gli potrà mai perdonare, ha tradito il verbo della sportività,
si è macchiato del peccato più grave, la mancanza di fair play. I due
caballeros fanno la cosa tatticamente meno saggia, decidono di gonfiare
il petto, di fare gli offesi, di ergersi a moralizzatori. A Valencia va
in scena la finale della Piston Cup. Corrono in tre, come nel capolavoro
di John Lasseter, solo che già Vale si è preso due ruoli, quello di
Strip “The King” Weathers (da sempre il suo) e quello di Saetta McQueen
(che fino a qualche settimana fa era del giovane Marquez), e ha corso
contro non uno, bensì due versioni di Chick Hicks, l’eterno secondo, il
rancoroso. E’ riuscito ancora a realizzare il capolavoro, ha tolto
visibilità ai suoi avversari, li ha messi da parte, li ha resi
inconsistenti, dimenticabili, trascurabili. Alla lunga lista dei Chick
Hicks che l’hanno sfidato e hanno perso, magari non in pista, ma in
tutto il resto, ha aggiunto pure Lorenzo e Marquez. E’ un maledetto
genio…
Lettera pubblicata da Il Foglio il 10 novembre 2015
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