venerdì 18 dicembre 2015

Insipidézza


Il 23 maggio 2010, dopo la festa per la vittoria dell’Inter nella finale di Champions, il filosofo di Setúbal ci lasciò e da quel giorno fummo Gli Orfani e il calcio cominciò a essere quella cosa triste e mortalmente noiosa che è oggi. Ci rimaneva Ranieri, al tempo mesto e per nulla stimolante allenatore della Roma. Com’era possibile, davvero, rimettersi a guardare una partita di pallone e non farsi venire la depressione? Il calcio italiano era già nel fosso dell’inutilità dai tempi di Moggi e dei suoi compagni di merende, ma senza Mou è diventato incorporeo. Oggi, e mi dispiace per Jack O’Malley, il virus dell’insipidézza ha invaso anche l’isola dei tre leoni e non basta un buon brandy di Jerez per tirarsi su il morale: Ranieri in testa alla Premier, dopo la vittoria contro i Blues di Mourinho, è un capovolgimento dell’universo, uno strappo nel tessuto della realtà. Davvero, di più improbabile c’è solo la scoperta del gravitone (che ormai il bosone di Higgs dicono d’averlo visto) oppure Obama che conclude qualcosa in politica estera. Consiglio di passare alla Premiership di rugby, dove Leicester è una cosa seria.

Lettera pubblicata da Il Foglio il 18 dicembre 2015

mercoledì 11 novembre 2015

La risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto

Nella Guida galattica per gli autostoppisti del grande Douglas Adams il supercomputer Deep Thought, interrogato su quale fosse la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto, dopo sette milioni e mezzo di anni, aveva risposto 42. Il supercomputer si è sbagliato: la risposta è 46.

martedì 10 novembre 2015

Valentino Rossi è un genio

Valentino Rossi è un genio. Lo si sapeva già, ma la cosa non smette mai di stupire. E’ riuscito in due settimane a passare dalla parte del torto a quella della ragione e a far apparire i suoi due avversari due patetici imbroglioni. Cioè, prima, in diretta mondiale, scaraventa Marquez per terra con un calcione che la testata di Zinédine Zidane sembra un buffetto cresimale. Come buttare al vento vent’anni di carriera, la più luminosa nel mondo dei motori. Ha fatto quello che nessuno gli potrà mai perdonare, ha tradito il verbo della sportività, si è macchiato del peccato più grave, la mancanza di fair play. I due caballeros fanno la cosa tatticamente meno saggia, decidono di gonfiare il petto, di fare gli offesi, di ergersi a moralizzatori. A Valencia va in scena la finale della Piston Cup. Corrono in tre, come nel capolavoro di John Lasseter, solo che già Vale si è preso due ruoli, quello di Strip “The King” Weathers (da sempre il suo) e quello di Saetta McQueen (che fino a qualche settimana fa era del giovane Marquez), e ha corso contro non uno, bensì due versioni di Chick Hicks, l’eterno secondo, il rancoroso. E’ riuscito ancora a realizzare il capolavoro, ha tolto visibilità ai suoi avversari, li ha messi da parte, li ha resi inconsistenti, dimenticabili, trascurabili. Alla lunga lista dei Chick Hicks che l’hanno sfidato e hanno perso, magari non in pista, ma in tutto il resto, ha aggiunto pure Lorenzo e Marquez. E’ un maledetto genio…

Lettera pubblicata da Il Foglio il 10 novembre 2015

giovedì 5 novembre 2015

La matematica è un'opinione

La matematica è un'opinione, innegabile, Chi dice il contrario è probabilmente un matematico. Io non sono un matematico e il mio professore di analisi ai tempi dell'università era onesto e alla fine ce l'ha confessato: anche per lui la matematica è un'opinione.

Tra i tanti esempi in merito ce n'è uno che è venuto fuori qualche giorno fa sulle pagine di alcuni quotidiani con conseguente diluvio di polemiche. I fatti. Una maestra americana ha dato un compito ai suoi alunni di terza elementare e ha dato un brutto voto ad uno di loro perché aveva, secondo lei, sbagliato a interpretare una semplice moltiplicazione.


Il testo del problema diceva (il grassetto è nel testo originale):
Use the repeated addition strategy to solve: 5 x 3
Il bimbo ha scritto:
5 x 3 = 15           5 + 5 + 5
La maestra gli ha segnato errore e gli ha tolto 1 punto e ha corretto a penna rossa la soluzione proposta dal bimbo scrivendo vicino:
3 + 3 + 3 + 3 + 3
Ci sarebbe anche il secondo esercizio del compito come si vede nell'immagine, ma per ora fermiamoci a questo.

Le discussioni sul sito del Corriere sono state interminabili: c'è chi consigliava di licenziare la maestra, chi invece le dava ragione e chi, naturalmente, professandosi matematico, professore universitario o anche semplice maestro o maestra, faceva le pulci al problema evocando scenari matematici catastrofici.

Il problema è interessantissimo nonostante sembri del tutto banale. Lo sanno tutti che 5 x 3 è uguale a 3 x 5 e che in entrambi i casi il risultato è 15. Ma è davvero così? Non proprio...

Intanto, analizzando il problema dell'alunno americano, si deve capire bene cosa ha chiesto la maestra. La domanda non è «risolvi la moltiplicazione» e nemmeno «dimostra di aver capito la proprietà commutativa». La domanda è precisa e riguarda evidentemente il modo in cui la maestra ha spiegato il significato della simbologia A x B dove A e B sono due numeri (ovviamente naturali, o meglio quelli che conoscono i bimbi di terza elementare). La maestra chiede di utilizzare una certa "strategia", cioè un metodo che è definito, in inglese, come repeated addition, cioè addizione ripetuta.

Qui entra in gioco quindi la definizione di moltiplicazione e, più in particolare, la definizione che quella maestra ha dato in classe o quella che c'è nel libro di testo usato nella sua classe (che non conosciamo). Partiamo comunque da presupposto che i bimbi non conoscano ancora, per quanto possa essere intuitiva per qualcuno anche a quell'età, la proprietà commutativa, cioè quella proprietà per cui A x B = B x A.

Cosa significa allora la simbologia 5 x 3? E perché il bimbo avrebbe sbagliato? In inglese quella stringa di simboli si legge five times three, cioè "5 volte 3". Se ne deduce quindi che 5 è il cosiddetto moltiplicatore e 3 è il moltiplicando. Che, detta in altri termini, significa «prendi 3 e sommalo 5 volte», cioè ripeti la somma 5 volte. In effetti, secondo molte definizioni, la moltiplicazione non è altro che un modo più compatto per scrivere una somma ripetuta di oggetti uguali. Compro 5 lampadine che costano ognuna 3 euro, quanto spendo? Ovviamente 15 euro. Si capisce però che è ben diverso dal comperare 3 lampadine che costano ognuna 5 euro, anche se spendo uguale.

La maestra americana, criticabile finché si vuole per tanti motivi, voleva dai bimbi che dimostrassero di aver capito che 5 x 3 è, come da definizione, five times three, cioè una serie di 3 sommati 5 volte, cioè 3 + 3 + 3 + 3 + 3, cioè una somma ripetuta (repeated addition strategy).

Si potrebbe pensare che la matematica, una delle materie più precise, rigorose, ordinate e codificate, sia uguale in tutto il mondo e che il significato di certe simbologie elementari, come una semplice moltiplicazione di due numerelli, non sia opinabile, sia uguale per tutti e a tutte le latitudini. Non è così.

In America, e immagino nei paesi anglosassoni, evidentemente la definizione di 5 x 3 è quella detta sopra, cioè:
  • 5 è il moltiplicatore
  • 3 è il moltiplicando
  • 5 x 3 si legge five times three, cioè "5 volte 3"
Lo si evince anche facendo una ricerchina su Google Libri e pescando un qualunque libro di matematica elementare in inglese. Ad esempio questo (il primo che ho trovato ma ce ne sono altri) che è rivolto agli studenti del college, non ai bimbi delle elementari, però è significativo: Alan Tussy, R. Gustafson, Diane Koenig, Basic Mathematics for College Students, 4a ed., Cengage Learning, 2010, ISBN 9781439044421

A pagina 40 di questo testo c'è l definizione di moltiplicazione: 
Multiplication is repeated addition, and it is written using a moltiplication symbol X, whitch is read as "times".
E l'esempio riportato è:
5 + 5 + 5 + 5 = 4 x 5 = 20
che si legge four times five is twenty, "quattro volte cinque è uguale a venti".

Anche da noi la moltiplicazione è una somma ripetuta ed è in sostanza un modo compatto di scrivere una somma. Solo che da noi la moltiplicazione scritta come 5 x 3 si legge in un altro modo:
  • 5 è il moltiplicando
  • 3 è il moltiplicatore
  • 5 x 3 si legge "5 sommato per 3 volte", oppure "5 per 3 volte", oppure in breve "5 per 3"
Cioè, da noi, 5 x 3 è uguale a 5 + 5 + 5. Lo si può vedere, ad esempio, anche in vecchissimi testi settecenteschi e ottocenteschi anche questi reperibili su Google Libri. Ad esempio a pagina 2 di Lezioni di matematica elementare del p. Francesco Luino gesuita del 1772, dove è scritto:
Moltiplicare una quantità per un'altra egli è lo stesso, che prendere quella tante volte, quante n'esprime questa, o essa esprima unità intere, o parti qualunque dell'unità: la prima si chiama moltiplicando, la seconda moltiplicatore, amendue con comune vocabolo fattori, e chiocché si ha dopo la moltiplicazione chiamasi prodotto.
Sarebbe interessante vedere come la stessa definizione sia resa nei paesi francofoni o in quelli di lingua spagnola o tedesca. Ma la cosa interessante e sorprendente è che 5 x 3 in Italia significa una cosa, mentre negli Stati Uniti ne significa un'altra. Per noi significa, ad esempio, 3 sacchi contenenti 5 patate, da loro invece 5 sacchi contenenti 3 patate. Ma ancor peggio, è diverso se un dottore prescrive una scatola di 15 pastiglie da prendere 3 volte al giorno per 5 giorni oppure ne prescrive 15 da prendere 5 volte per 3 giorni: nel primo caso magari il paziente guarisce, nel secondo caso è possibile che il paziente venga ucciso per avvelenamento da farmaci.

La matematica è davvero un'opinione...

La definizione stessa della moltiplicazione nei numeri naturali (N) è diversa da quella nei numeri reali (R). In R il prodotto è assiomaticamente una delle due operazioni richieste nei campi e il suo risultato è anch'esso un numero reale. In N è semplicemente addizionare il numero A per B volte. Ci sono però autori che non considerano la moltiplicazione in N come commutativa, proprio per il fatto che nella pratica la moltiplicazione è la somma di A oggetti sommati B volte: A ha una sua unità di misura (mele, pere, patate, pastiglie, euro, ecc.) mentre il moltiplicatore B esprime solo quante volte deve essere ripetuta la somma di A.

Ci sono altre "opinioni" in matematica che la rendono, appunto, opinabile, e su cui i matematici litigano da secoli: l'esistenza di radici quadrate di numeri negativi (negate dai più, ma prese in considerazione da alcuni autori), l'inclusione dello "0" nell'insieme dei numeri naturali (rispettando gli assiomi di Peano si può avere una definizione che lo include e un'altra che lo esclude), la somma di oggetti che vanno alla velocità della luce che non può superarla, per cui c + c è minore di c, cosa che ha costretto Einstein a utilizzare le trasformazioni di Lorentz per avere una somma in cui 1 +1 non fa 2.

giovedì 22 ottobre 2015

Ma questo sinodo a che serve?


Il tema della comunione alle coppie divorziate e risposate sembra essere diventata la questione più pressante sulla quale la Chiesa cattolica si deve esprimere. Lasciando perdere il perché e il percome di questo smodato interesse, probabilmente strumentale, per una questione tutto sommato marginale, ma che a detta di qualcuno, se non risolta, porterebbe a scismi, divisioni e fratture insanabili in seno alla Chiesa, rimane ancora da capire quali siano i dubbi, le perplessità, le necessità di chiarimento e approfondimento sul tema in sé. Questione dottrinale, pastorale, giuridica? Davvero se non si arriva a una posizione che sia o l'accettazione di una posizione considerata accomodante o quella di una posizione considarata intransigente ne viene meno l'integrità della Chiesa?

Come sappiamo se ne sta discutendo al Sinodo in corso a Roma. Cioè, papa Francesco ha indetto non uno, ma bensì due sinodi per discutere sul tema della famiglia. Il primo preparatorio e straordinario, il secondo, dopo un anno di digestione, è quello che dovrebbe concludere la disamina del tema. Che, vale la pena ripeterlo, è la famiglia, questione che evidentemente è un po' più ampia della più ristretta questione della comunione ai risposati.

A me sorprende che dopo appena 35 anni dalla V Assemblea Generale Ordinaria dell'autunno 1980, dedicata alla famiglia cristiana, sia stato necessario ritornarci sopra e fare addirittura due sinodi dedicati allo stesso tema. Evidentemente il Papa si è giustamente convinto che ce ne fosse bisogno, che i pastori di oggi se ne siano dimenticati... Anche perché quel sinodo del 1980 portò alla pubblicazione da parte di san Giovanni Paolo II della esortazione apostolica Familiaris Consortio, uno dei documenti più importanti e noti del magistero del papa polacco. Certo, si tratta di una esortazione apostolica che gerarchicamente è un po' sotto una costituzione o una lettera enciclica, però è un documento che ha dato frutti, teologici e pastorali, enormi. Ad esempio lo stesso Giovanni Paolo II, sulla spinta della novità della Familiaris Consortio, decise di creare addirittura un istituto teologico e formativo dedicato proprio al tema del matrimonio e della famiglia. Un istituto universitario che il papa decise di intitolare a se stesso, tanto per rimarcarne l'importanza. Si fatica perciò a comprendere perché oggi, dopo tutto sommato pochi anni, tutti 'sti vescovi abbiano davvero bisogno di rimestare la cosa e ripensarci. Ma come detto, lasciamo perdere i retropensieri sull'operato di certi ambienti. L'unico dubbio è che non l'abbiano letta.

A quanto si apprende i cosiddetti circoli minori, gruppi linguistici ristretti di partecipanti al sinodo, stanno scrivendo e approvando documenti di sintesi e proposta a partire dal famigerato Instrumentum laboris. E a quanto pare sono ancora lì a discutere su cosa trannere e cosa no della Familiaris Consortio, in particolare del numero 84, paragrafo dedicato proprio ai divorziati risposati.

Il punto è che non c'è davvero nessun motivo perché i padri sinodali, dopo un anno e dopo due sinodi, non decidano semplicemente di buttare nel cestino il documento preparatorio Instrumentum laboris e di votare quindi un documento che dice in sintesi: «per ciò che riguarda il tema delle sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione si veda e si segua per intero quello che c'è scritto nella Familiaris Consortio.»

Ma cosa dice davvero il n°84? Intanto il punto è parte del paragrafo e) intitolato I divorziati risposati che è all'interno del capitolo Azione pastorale di fronte ad alcune situazioni irregolari. Vediamo cosa dice.

84. L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.
Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l'indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.
Era già chiaro nel 1980 che la famiglia era messa male e che la ferita del divorzio, in Italia in particolare, era ancora fresca. Non è che siccome è passato un po' di tempo la ferita si sia magicamente rimarginata: «il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile», anche oggi. Giovanni Paolo II già diceva che i pastori, «per amor di verità, debbono discernere le situazioni», cioè non devono fare di ogni erba un fascio, ci devono mettere un po' di neuroni e ci devono mettere la faccia. Anzi, il santo polacco esorta i pastori affinché aiutino i «divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa». Se non è chiaro questo è evidente che il problema non è né dottrinale, né pastorale, né altro. Il problema è che i pastori, e primi fra tutti i vescovi, non hanno la capacità di offrire questo aiuto, quindi è prima di tutto un problema di autocoscenza e quindi di fede. Io, da profano, posso capire che aver a che fare con un divorziato, che si è risposato, che poi decide o addirittura in certi casi pretende di essere riammesso alla Santa Comunione, sia una rogna. Ancor di più immagino la difficoltà di un prete che si trova a distribuire la comunione durante la messa e si trova a quattr'occhi con uno che gli è noto e di cui magari ben conosce la situazione di risposato. Chissà quanti ne passano ogni domenica in tute le chiese... Ma non è che siccome c'è un problema che si è incapaci di risolvere si cambia la regola.
Oh, ragazzi, avete voluto voi farvi preti, mica vi è stato promesso che sarebbe stato facile. Pensate che fare il marito sia più facile? Pensate che stare tutti i giorno con una donna, un soggetto umano che non sei tu, sia una passeggiata? Pensate che stare con un branco di figli adolescenti brufolosi sia meglio?
La regola è chiarissima, se vuoi la comunione e ti sei risposato, non bastando la confessione perché ti trovi in una situazione di perdurante peccato, o ti ri-sapari oppure, se non puoi («discernere le situazioni» dice la Familiaris Consortio), ti astieni. Insomma, hai già divorziato una volta da un vincolo sacramentale, te ne fai una ragione e ti metti a posto. Immaginiamo solo la richezza che potrebbe portare in un rapporto coniugale, per quanto irregolare, la decisione comune di fare un tal sacrificio. A questo devono educare i pastori, mica a trovare o concedere scorciatoie. Non ne esistono, non ci sono: divorziare e risposarsi civilmente mette la persona (probabilmente due) in un vicolo cieco. Se ne esce solo come dice la Familiaris Consortio e con la grazia di Dio.

Perciò mi chiedo, ma di che cavolo stanno discutendo in Vaticano?

venerdì 16 ottobre 2015

Il dibattito su Inside Out, capolavoro Pixar

Un po' di recensioni e commenti che ho trovato interessanti sul nuovo film Pixar di Pete Docter.


venerdì 11 settembre 2015

Decentrati

Articolo da salvare a futura memoria.

C'è chi lascia la chiesa a causa di Papa Francesco

di Camillo Langone , Il Foglio, 09 settembre 2015


Sono sempre più numerosi gli amici, anche persone all'apparenza religiosamente più salde di Magdi Allam, che disgustate da Papa Francesco mi comunicano di voler lasciare la Chiesa, verso le mete più svariate: l'ortodossia, l'anglicanesimo, il nulla (non che l'anglicanesimo differisca molto dal nulla...). Quindi torna utile Thibon, filosofo-contadino francese, in Italia poco tradotto, che mi è un po' meno sconosciuto da quando Nicola Tomasso gli ha dedicato “Il realismo dell'incarnazione. Introduzione a Gustave Thibon” (Tabula Fati). Thibon nel bel mezzo del Novecento scrisse: “Nelle epoche classiche, le istituzioni morali, politiche o religiose superavano e sorreggevano gli uomini che le rappresentavano. La monarchia era più del re, il sacerdozio più del prete, il matrimonio più degli sposi. Tale fatto rendeva possibile a volte disprezzare un re o un papa senza che il principio della monarchia o della potestà pontificia venisse infirmato. Si pensi alle invettive d'una santa quale Caterina da Siena contro il clero del tempo, a un grande cattolico come Dante che apostrofa all'inferno il papa regnante! Oggi, come in tutti i periodi di decadenza, assistiamo al fenomeno inverso: le istituzioni non sono tollerate e amate che nell'individuo”. Oggi 2015 troppe persone amano oppure odiano la Chiesa sulla base dei propri sentimenti verso il Papa attuale e questo è un atteggiamento superdecadente. Che i tradizionalisti se ne rendano conto e facciano come me che sono superclassico: le uniche personalità religiose verso le quali nutro sentimenti si chiamano Maria e Gesù.

mercoledì 15 luglio 2015

Retromarcia. Huggies si conforma al genderismo

Come avevo raccontato in alcuni precedenti post, la società Kimberly-Clark produttrice dei pannolini Huggies, è finita nell'occhio del ciclone per uno spot considerato sessista. A seguito di alcune segnalazioni, il Presidente del Comitato di Controllo dell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) ha considerato lo spot «manifestamente contrario agli art. 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona – e 11 – Bambini e adolescenti – del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale».

Bene, come in precedenza è successo a Barilla, anche Kimberly-Clark ha preferito adeguarsi. Il peccato più grande per la nostra società è la discriminazione sessuale o tutto ciò che può anche lontanamente sembrare disciminatorio nei confronti di omosessuali, transgender, ma anche nei confronti di tutti coloro che pur essendo maschi o femmine da un punto di vista biologico sentono o potrebbero sentire per sé una diversa appartenenza di genere. Quindi per evitare che un bimb* (così si indicano i cuccioli della specie homo sapiens in modo genderisticamente corretto) di pochi mesi possa correre il rischio di confondersi sul suo sesso, lo spot è stato censurato e modificato. Il nuovo spot dice il contrario esatto di quello originale (letteralmente sparito dalla rete e davvero non si riesce più a trovarlo): i bimbi e le bimbe sono identici, fanno solo la pipì in modo diverso.

Il prototipo internazionale del chilogrammo (Le Grand Kilo), un cilindro di 39 mm in altezza e diametro, composto da una lega di platino e iridio, conservato al Bureau International des Poids et Mesures a Sèvres in Francia. Da Wikimedia Commons, immagine realizzata da Greg_L disponibile con licenza CC-BY-SA 3.0 Unported.

Interessante è la disamina di quanto l'opinione pubblica abbia influito nella decisione dell'Istituto di censurare lo spot e di quella di Kinberly-Clark di adeguarsi all'ingiunzione. IAP, nel testo dell'ingiunzione parla di "massa critica" sviluppata nella società "che mira a sollecitare una maggiore consapevolezza sui temi della dignità della persona e del rispetto dell’identità di genere". Bene, tale "massa critica" corrisponde alle 6.752 persone che hanno firmato la petizione on-line promossa su change.org da Elli Sensi Pecora e dicharata vittoriosa. Una folla davvero, un pezzettone enorme della società civile scandalizzato dallo spot Huggies. Una contro-petizione promossa da La Manif Pour Tous ha raccolto, ad oggi, 31.002 adesioni. Non un granché, ma se li pesiamo su una bilancia hanno una "massa" (magari non critica) superiore a quella dei promotori della censura gendersita amici di Elli. Chiediamo formalmente che il prof. Giorgio Floridia, presidente dell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e docente alla Cattolica di Milano, e l'avv. Carlo Orlandi, presidente del Comitato di Controllo, si ristudino un po' di fisica e si ripassino la definizione di "massa". Capisco che siano dei fini giuristi e non dei fisici, ma se si usa "massa critica" per sostenere un giudizio bisogna almeno avere una idea di massima di cosa significhi. "Massa critica" è la quantita minima di materiale fissile che serve per scatenare una reazione nucleare. Cioè, non ne serve tanta, la massa può essere davvero poca in assoluto o anche relativamente al contesto, ma deve bastare per una reazione a catena, per scatenare qualcosa di grosso coinvolgendo tutto ciò che ha intorno. Ora, se gli amici di Elli sono una massa critica capace di generare una reazione a catena in grado di contrastare una multinazionale come Kimberly-Clark, significa davvero che siamo nell'orbita di una dittatura ideologica e che devo dar ragione a chi usa espressioni come "dittatura gender" o "dittatura genderista".

lunedì 6 luglio 2015

Logan 3 fuggirebbe da un mondo in cui si possono pubblicizzare solo pannolini unisex?


In un precedente post avevo parlato dell'ingiunzione dell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) nei confronti di uno spot dei pannolini Huggies e del gran polverone che ne è derivato. In realtà quando è uscita la notizia il testo dell'ingiunzione non era ancora disponibile sul sito dell'Istituto. Da qualche giorno però è possibile leggerlo ed è quindi possibile trarre qualche conclusione su questa incredibile vicenda.

Ricordiamo che la società Kimberly-Clark produttrice dei pannolini, è finita nell'occhio del ciclone per uno spot considerato sessista. A seguito di alcune segnalazioni, il Presidente del Comitato di Controllo di IAP ha considerato lo spot «manifestamente contrario agli art. 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona – e 11 – Bambini e adolescenti – del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale».

Il testo dell'ingiunzione è interessante e merita qualche preciso commento.

Cosa viene contestato allo spot? Innanzitutto:
Nello specifico, si propongono [nello spot, n.d.a.]:
– per la bambina gli stereotipi del pensare a “farsi bella”, “cercare tenerezza” e “farsi corteggiare da un uomo”;
– per il bimbo si ricorre al desiderio di “fare goal”, di “avventure” e “cercare le donne”.
Quindi l'Istituto considera il desiderio di "farsi bella", di "cercare tenerezza" e di "farsi corteggiare da un uomo" stereotipi. Cioè versioni semplificate se non semplicistiche dell'immagine della donna. Si deve tener conto che una visione diventa stereotipo in un certo contesto. Dire che per bimbi di età compresa tra 0 e 2 anni (più o meno l'età dei fruitori dei pannolini incriminati) questi siano stereotipi mi sembra forzato. Cioè in questo caso siamo fuori contesto. Certo, i bersagli dello spot non sono i bambini (quelli della Kimberly-Clark non sono così idioti), ma le mamme. Ma, lo vedremo in seguito, l'Istituto non sembra averlo capito.
Dire che una donna (nel senso di appartenente al genere femminile) desideri farsi bella, cercare tenerezza e, perché no, farsi corteggiare da un uomo sono cose di una tale banalità che non si capisce bene dove sia la visione semplificata, lo stereotipo. Il problema qual è? Che le donne devono desiderare di farsi corteggiare anche dalle donne? Sarebbe questo il contenuto di un messaggio non sessista?
Le tre frasi incriminate sono certo una semplificazione pubblicitaria, ma sono anche frutto di una osservazione della realtà antropologica che affonda le sue radici in millenni di storia e di cultura umana. Davvero dire che le donne, da sempre, cercano di rendersi più belle agli occhi degli uomini è sessita? In quasi tutte le specie animali un esemplare di un sesso cerca di attirare l'attenzione dell'altro sesso per motivi meramente riproduttivi (anche se è vero che in natura di solito è il maschio che cerca di attirare la femmina e cerca di convincerla all'accoppiamento). L'homo sapiens ha portato questo concetto in un contesto tipicamente umano che è quello culturale, specificità del genere umano rispetto a quasi tutto il resto della natura. Cercare tenerezza non è un stereotipo, è la base dell'essere uomo o donna.

A questo punto però sorge spontanea la domanda: la pubblicità è in genere immune dal veicolare messaggi come questi, donne che vogliono essere belle, che cercano tenerezza e che cercano di farsi corteggiare da un uomo? Mi pare proprio di no e quindi mi chiedo perché l'IAP non contesti anche il contenuto di tutta quella paccottiglia di spot che giornalmente ci vengono proposti dalle TV e dai media. Basta fare una ricerchina su Google Immagini immettendo come criterio di ricerca "pubblictà profumi" per avere un'idea precisa di quali sono i messaggi tipicamente veicolati dai pubblicatari. Volti (e corpi) notissimi al grande pubblico prestati alla pubblicità per dire in sostanza: «se ti metti questo profumo avrai maggiori possibilità di incontrare l'uomo dei tuoi sogni, ti sentirai più bella e seducente e troverai tutta la tenerezza che cerchi e forse anche qualcosa di più tangibile». Davvero si può pensare che la bellissima Natalie Portman sia lì per dire qualcosa di diverso alle donne che compreranno il profumo Miss Dior?


Lo stesso analogo discorso lo si potrebbe fare per i profumi e i dopo-barba maschili. I profumi sono rigorosamente diversi per uomini e donne, sono sessiti come pochi altri prodotti, lo sono tanto quanto e forse più dei pannolini Huggies Bimbo e Bimba.
Ma ci sono anche altri esempi. Le immagini veicolate dagli spot degli assorbenti intimi femminili sono tipiche e standardizzate, perché rivolte a un target ben preciso di consumatrici. Le donne che compaiono sono di norma appena carine, mai giovanissime, certo non sono campionesse di seduzione, sono volti acqua e sapone che hanno tutte più o meno le stesse caratteristiche: sono leggermente sofferenti, a tratti insicure, spesso un po' goffe nei movimenti. Il messaggio veicolato è sempre qualcosa del tipo: «se non hai un assorbente intimo che fa bene il suo lavoro la tua giornata può essere un incubo, lo capiamo tutti, quindi comprati il mio prodotto: "sicura e protetta, asciutta e pulita".»



Perché quindi l'Istituto non interviene su tutti questi spot? Materia, tra l'altro, degna delle più antiche e feroci battaglie femministe. Non c'è sessimo nel dipingere "per spot" una donna alle prese con il prurito intimo che le impedisce di avere normali rapporti sociali?

Prosegue l'ingiunzione:
[...] una tale narrazione [quella dello spot, n.d.a.] è suscettibile di porsi in contrasto con l’articolo 10 del Codice, laddove prevede il divieto di “ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere”.
Questa frase è l'apoteosi della mancanza di buon senso, della mancanza di contatto con la realtà. La realtà ha una caratteristica: è più grande di ciò che ognuno di noi riesce a percepire e l'errore comune che commette ogni persona, anche quella mooolto intelligente, è di ridurre la realtà alla sua misura.
L'Istituto riterrebbe non disciminatorio uno spot che, indipendentemente dal sesso biologico, affermasse che un maschietto pensa a “farsi bello, “cerca tenerezza” e pensa a “farsi corteggiare da un uomo”; si dovrà invece dire, per non essere sessisti, che una femminuccia desidera “fare goal”, cerca “avventure” e passa il tempo a “cercare le donne”. Oppure mescoliamo il tutto in un bel calderone dove ognuno fa quello che gli pare, pure la pipì.

Poi:
È noto che a diversi livelli si è sviluppata nella società civile una massa critica, che mira a sollecitare una maggiore consapevolezza sui temi della dignità della persona e del rispetto dell’identità di genere.
Qui l'Istituto scopre le carte e ci dice chiaro e tondo qual è la fonte: è la "massa critica" che cerca il "rispetto della identità di genere". Massa critica che, lo sappiamo, è la lobby genderista. Meglio, è formata da tutta quella enorme porzione dell'opinione pubblica che supinamente si adatta ai diktat del genderismo dilagante, perché chi si oppone si becca immediatamente l'epiteto di omofomo.

Ma l'apice viene dopo:
Non è certamente la proposizione di un modello convenzionale o ricorrente di per sé ad essere invisa, ma la banalizzazione della complessità umana, quando il modello viene vissuto con una carica deterministica, restrittiva e pertanto degradante, quasi che necessariamente la donna debba essere “bella, madre e preda” e l’uomo “goleador, cacciatore e avventuroso”

Quindi, secondo l'Istituto, non è il modello convenzionale e ricorrente il problema, ma la banalizzazione della complessità umana. A parte la doverosa segnalazione del fatto che prima l'Istituto aveva detto proprio il contrario, le parole chiave qui sono "banalizzazione" e "restrittiva" (lasciamo perdere quella "carica deterministica" che è fumo negli occhi e quel "degradante" che è tutto da dimostrare e l'Istituto non ha gli argomenti per dimostrarlo anche se scrivesse duecento pagine di ingiunzione).

Qui ciò che viene banalizzata è una storia di migliaia di anni, un lungo e tortuoso percorso della storia dell'umanità che, con mille limiti, sbagli e difetti, ha portato a quello che è forse il più grande capolavoro della cultura umana: il riconoscimento e la definizione in tutti i suoi aspetti di quello che si può definire in senso lato "amore". Cioè la richezza, la complessità e la bellezza di quel frutto della ragione e dell'affettività umana che è il rapporto affettivo e pieno di ragioni tra un uomo e una donna, frutto e apice della parabola umana che poi si è reso evidente e concreto nel concetto di famiglia, in quel difficile lavoro che è l'essere marito e moglie, mamma e papà, genitore e figlio, maestro e allievo. Dopo millenni di progresso umano l'Istituto ci dice che tutto ciò è "restrittivo", che questo "modello" è "degradante".  Categorie come "[donna] bella" e "madre" sono restrittive secondo l'Istituto (tralascio "preda" perché è evidente in questo caso che di banale c'è solo l'utilizzo di questa parola da parte dell'Istituto). Invece sono due delle colonne dell'evoluzione umana, evoluzione culturale e antropologica e quindi, per questo, naturale. Ma tant'è, i censori pubblicitari questo faticano a capirlo e la "massa critica" a cui rispondono è interessata ad altro.

L'affondo successivo dell'ingiunzione è poi di stampo tipicamente ideologico:
Simili comunicazioni, anche aldilà delle intenzioni, veicolano contenuti che cristallizzano modelli non sentiti più attuali e comunque rigidamente restrittivi, che come tali sono suscettibili di urtare la sensibilità del pubblico, in quanto rappresentano ostacoli per una società moderna e paritaria.

Una società moderna e paritaria, quella in cui non c'è distinzione alcuna tra uomo e donna nella vita sociale, civile, economica, ma anche affettiva, culturale e familare di un popolo. Tale e quale alle società imposte dal socialismo, dal nazismo e a tutte le immaginifiche società perfette descritte con ugual enfasi dai migliori filosofi moderni come dai migliori scrittori di fantascienza. L'Istituto paladino di un mondo che vuol essere nella sostanza paritario e moderno come i mondi descritti da Tolkien nella sua Contea collettivizzata alla fine de Il signore degli anelli o da Orwell nella sua Fattoria. Una società perfetta in cui si vendono solo pannolini unisex. In un mondo così spero solo di avere quel minimo di acutezza mentale che ha permesso a Logan di fuggire...

La conclusione dell'Istituto è da Oscar (anzi da Telegatto, visto che si parla di TV):
Oltre a ciò tali comunicazioni, come nel caso del telecomunicato Huggies, hanno ripercussioni anche sui minori, non ancora pronti ad una corretta elaborazione critica del messaggio pubblicitario cui possono certamente essere esposti considerando il mezzo di diffusione utilizzato, potendo creare non solo disordine nel loro immaginario, ma soprattutto la possibilità di banalizzazione della figura femminile e maschile abusando della loro naturale credulità e mancanza di esperienza.
Qui la confusione, o la malafede fate voi, è evidente. Lo dobbiamo davvero sottolineare che bambini in età da pannolino sono un po' piccolini per essere bersaglio di tali categorie? Dobbiamo davvero dirlo che gli spot Huggies sono rivolti alle loro mamme? Alle mamme, sia chiaro, non ai papà, non ai genitori 1 e genitori 2, ma proprio alle mamme, mamme vere, quelle che sono passate attraverso le doglie del parto e che hanno allattato e allattano 'sti piscioni di bambini?

La censura genderista è stupida, perché circoscrive la realtà a quello che riesce a vedere attraverso gli occhiali deformati e limitanti di un approccio ideologico. La censura genderista è banale, come banale può essere solo il male.

venerdì 19 giugno 2015

Pubblicità eugenetica e morale gender: due casi a confronto

Volete sapere se il bimbo che avete in grembo è sano? Niente di più facile. Non servono più complicati e invasivi esami come l'amniocentesi. Lo potete verificare comodamente con un semplice prelievo di sangue. Qualcosa di molto simile al test di gravidanza.

Una società svizzera, che in modo evocativo si chiama Genoma, specializzata nella cosiddetta medicina predittiva, ha messo in commercio un test per verificare, con un margine di errore dichiarato inferiore allo 0,09%, se il figlio che metterete al mondo sarà o meno affetto dalla sindrome di Down o trisomia 21.
Un grande passo avanti, senza rischi per il feto o per la mamma. Il kit costa solo 720€ e così tutte le future mamme potranno essere tranquillizzate sullo stato del nascituro. Non a caso il nome del prodotto è proprio Tranquility: un metodo di screening facile, sicuro, accurato e, ovviamente, tranquillizzante. Il test deve essere fatto a partire dalla decima settimana di gravidanza, così restano ben 20 giorni per decidere il da farsi (almeno in Italia dove l'aborto è consentito fino al novantesimo giorno): proseguire fino alla nascita del pupo oppure ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza (IGV) se il feto non supera il controllo qualità.

Genoma SA è una ditta seria, seria come lo sono di norma le ditte svizzere. Dicono infatti di sé: «Genoma ha come obiettivo quello di aiutare le persone ad avere una migliore conoscenza della propria salute e di quella del proprio bambino, fornendo prodotti e servizi semplici ed affidabili ai genitori.» Inoltre «Genoma ti aiuta a prendere in tempo la decisione medica più opportuna. Tu e il tuo bambino sarete così in grado di ricevere immediatamente cure mediche adeguate per vivere una vita migliore e in salute.» La società dichiara anche i propri valori: «Come azienda svizzera, la qualità è per noi più di un valore, è il nostro stile di vita. Per i nostri test selezioniamo le tecnologie più avanzate, utilizziamo le più recenti scoperte mediche e seguiamo i più elevati standard di qualità disponibili.» Indubbiamente c'è da fidarsi, questi sanno il fatto loro.

Ma la pubblicità è l'anima del commercio e quindi ogni tanto, per vendere, non basta dimostrare che il proprio prodotto è il migliore, che la qualità è la base del proprio lavoro, che il fatto di avere sede a Ginevra è già di per sé una garanzia. Ogni tanto bisogna sporcarsi le mani con la maledetta réclame. E' quello che ha fatto Genoma che per pubblicizzare Tranquility ha fatto intallare dei grandi banner sui muri di un palazzo di Madrid.


Lo vedete il viso di quella bellissima bimba coi capelli rossi che appare sul banner? Non vi sembra tranquillo? Sta guardando la sua mamma che le scatta la foto. La sua espressione mi ha colpito, forse perché è la stessa che hanno i bambini quando ti guardano con sufficienza e sembrano dire «Mah, 'sti adulti proprio non li capisco, mi sembrano un po' cretini...». Però il suo volto esprime anche tutto il legame con la sua mamma: «Io sono perché ci sei tu, mamma, la mia consistenza è in te, dipendo da te e ogni mio momento è dettato dalla mia appartenenza a te. Per cui, mamma, sto qui come un sasso a farmi fare tutte le foto che vuoi, finché non ti stufi. Occhio però, io sono una bimba e non ho 'sta grande autonomia, può essere che mi stufi prima io...»

La bimba è tranquilla forse perché, nonostante sia affetta dalla sindrome di Down, è nata, la sua mamma l'ha voluta e le vuol bene. Al punto da aver condiviso in rete una delle sue foto preferite tra quelle che le ha scattato. Così, perché una bella foto della propria bambina è una cosa di cui essere un po' orgogliosi.

Immaginate come si è sentita la mamma quando ha scoperto che Genoma le aveva letteralmente rubato la foto per sbattere in faccia al pubblico spagnolo il viso della sua bellissima bimba in una pubblictà dove in sostanza si dice: «Se usate il nostro test potrete evitare errori come questo.» Se al posto della bimba mettete una zanzara e al posto di Genoma scrivete Vape o Raid l'effetto è lo stesso.

La società svizzera ha replicato e si è pure scusata per questa pubblictà eugenetica, ma le scuse appaiono ballerine e inefficaci. Fredric Amar, CEO e fondatore di Genoma e di Esperite (la casa madre), dice che si è trattato di un errore interno di comunicazione, l'immagine non doveva essere esposta a Madrid. Poi spiega anche che la foto era stata scaricata da una banca dati che, in modo apparentemente legale, offriva immagini riutilizzabili. La colpa quindi è di chi ha distribuito la foto, rubata da blog della mamma canadese della bimba dai capelli rossi, senza averne diritto. Amar spiega la leggerezza dei suoi nell'aver usato una foto senza chiedere il permesso all'autore. Un problema di copyright insomma. Ma non spiega perché Genoma avesse bisogno di quella foto, o comunque di una foto di un bimbo o di una bimba down, per pubblicizzare il suo fantastico, innovativo e tranquillizante test.

Dalla lettera scritta dal CEO di Genoma si capisce una cosa. I medici, gli scienziati e i tecnici, non tutti ma certamente quelli di Genoma, pensano che fare figli sia un problema sanitario, un problema da affrontare con la tecnica, la più raffinata, con la serietà e la qualità svizzere. Da un punto di vista della prevenzione (secondo il mai dimenticato adagio "prevenire è meglio che curare") fare un figlio con la sindrome di Down è paragonabile alla presenza di disturbi congeniti del metabolismo (Genoma ha il test Verity per questo), di allergie (Genoma produce Allergy Test) e della giusta dose di Omega 3, gli acidi grassi essenziali e necessari per il corretto sviluppo del cervello e del sistema nervoso del neonato
(anche qui Genoma ha il test giusto). Ah, quelli di Genoma amano i bambini. L'unico scopo del test Tranquility è ridurre il numero di interventi invasivi che possono mettere a rischio il feto. Evidentemente quando quelli di Genoma hanno pensato alla loro mission hanno dimenticato il buon senso: con il loro test non invasivo non mettono a rischio il feto, creano proprio le condizioni perché il feto non arrivi a vedere la luce, specialmente se nascerà down.

C'è un'altra importante società che ha a cuore la tranquillità delle mamme. E' la Kimberly-Clark, multinazionale statunitense tra i leader mondiali di prodotti in carta. Quotata in borsa a New York tra le prime 500 dell'indice S&P 500, con un fatturato di circa 19 miliardi di dollari e circa 43.000 dipendenti, la Kinberly-Clark produce prodotti "essenziali per una vita migliore" e in modo sostenibile. Per fare carta evidentemente tagliano un mucchio di alberi, ma si dimostrano attenti all'ambiente, ci mancherebbe altro. Tra i tanti marchi con cui commercializza nel mondo i suoi prodotti (tra i quali i fazzoletti Kleenex, la carta igienica Cottonelle, i rotoli Scottex), Kimberly-Clark produce anche pannolini. Il marchio che usa è Huggies, ma in realtà sono i vecchi pannolini Lines, quelli della celebre pubblicità dell'ippopotamo, rilevati da Kimberly-Clark che ha lasciato il marchio Lines al Gruppo Angelini per la produzione di assorbenti intimi.

Huggies ha avuto una bella idea, non originale peraltro perché ci aveva già pensato anni fa un altro produttore. Fare pannolini a misura di bimbe e di bimbi. Sì, perché pare proprio che i maschietti facciano la pipì davanti e le femminucce la facciano un po' più dietro. I pannolini Huggies Bimbo piacciono a Topolino, gli Huggies Bimba piacciono a Minnie.

C'è da dire che l'idea sembra un po' stupidotta, ma le vie del marketing sono infinite. Evidentemente secondo gli esperti commerciali della Kinberly-Clark conviene produrre e distribuire due tipi di pannolini diversi, con tutte le taglie necessarie alle varie età, per sconfiggere la P&G che con i suoi Pampers si mantiene invece salda sull'idea del pannolino unisex. Affari loro, vedremo se il mercato riesce a farsi convincere, anche se qualche dubbio è lecito. Vedremo cioè se le mamme saranno più tranquille utilizzando un pannolino che garantirà la perfetta assorbenza della pipì dei loro figli, maschi e femmine che siano, ma soprattutto la garantirà nel posto giusto.


Chi invece non è tranquilla è la lobby genderista che è riuscita a far esplodere il caso della pubblictà dei pannolini Huggies Bimbo e Bimba considerata sessita. Lo spot, in rotazione sulle reti televisive italiane in questi giorni, insisterebbe troppo sullo stereotipo delle differenza tra maschi e femmine. Nello spot si dice: «Lei penserà a farsi bella, lui a fare goal. Lei cercherà tenerezza, lui avventure. Lei si farà correre dietro, lui invece ti cercherà. Così piccoli e già così diversi.»

A quanto si apprende è stata aperta una petizione in rete per far in modo che quelli di Huggies ritirino lo spot. In molti siti web, blog e testate on-line è stata diffusa la notizia che l'Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria avrebbe ingiunto il ritiro dello spot o almeno lo avrebbe censurato. A onor del vero, al momento, sul sito dell'IAP non risulta nulla, per cui la presunta censura dell'autority non è confermata (anche se il sito dell'IAP è fermo alle decisioni del 29 maggio scorso) e come al solito in rete tutti ripetono le cose come pappagalli senza verificare un bel niente. Rimane il fatto che il polverone è stato sollevato ad arte e che i pannolini sessisti non permetterebbero ai bambini di scegliere. Scegliere cosa? Ma è chiaro, scegliere di essere maschio, femmina, oppore un po' e un po'. Già perché uno che si mette ancora il pannolino dovrebbe, secondo i teorici della parità di genere, poter scegliere il proprio orientamento sessuale. Un maschietto di sei mesi, quindi, sentendosi femmina, sarebbe costretto da Huggies ad indossare un pannolino che se è il Bimbo sarebbe contro la sua naturale scoperta del proprio intimo essere (azzurro), se invece è il Bimba non gli permetterebbe di farla senza bagnarsi.

Insomma una pubblictà che insiste sulle differenze tra maschi e femmine sarebbe contro le basilari norme sul trattamento delle differenze di genere. Dire che un maschio è un maschio e una femmina è una femmina è oggi un concetto aberrante, deve essere censurato.

Due casi di pubblictà tranquillizzante, per genitori che possono contare sull'aiuto delle più evulute tecniche e su imprese che pensano a loro e gli accompagnano nel difficile lavoro di tirar su figli. Lo studio della genetica e dei materiali al servizio del benessere e di una vita migliore; serietà svizzera e sostenibiltà aziendale sono poi valori aggiunti non trascurabili.

giovedì 21 maggio 2015

Le speranze deluse del rugby italiano

 
Gli evidenti insuccessi nostrani in Pro12 e in parte della nazionale al 6 Nazioni e, sempre, al mondiale, non sono solo frutto di errori della FIR o di strategie sbagliate. Il punto è semplicemente che il rugby in Italia interessa in modo del tutto marginale anche se agli appassionati piace pensare il contrario. A livello internazionale siamo esattamente dove ci spetta di essere in base a ciò che è il nostro movimento e in base all'interesse che il rugby suscita da noi.
Più di 10 anni fa assistevo alle partite del Petrarca nell'unico stadio italiano votato specificatamente al rugby. Semifinale del campionato e forse 1.000 spettatori di cui la maggior parte di Calvisano (o forse era Parma, non ricordo). Oggi il Petrarca gioca in un impianto grande un decino e gli spettatori sono paragonabili a quelli di una partita di calcio di Promozione. Il Padova in serie D fa più spettatori di quelli che fanno le squadre di rugby, baseball (IBL), pallanuoto (campione d'Italia femminile pochi giorni fa) e pallavolo della città messe insieme. E questo vale per una città che è da sempre uno dei motori del rugby italiano, che è tradizionalmente tra le più aperte per gli sport "minori". Anche Padova è cambiata: un posto dove il calcio interessava, in proporzione, in maniera minore rispetto ad altri è oggi totalmente coinvolto con la serie D. Altrove, un gigante dell'investimento sportivo come Benetton a Treviso si è defilato: meno soldi, meno investimenti nello sport (via la F1, via la pallavolo, via il basket, si è salvato solo il rugby, ringraziamo la famiglia Benetton). Aver spostato quei 15-20 giocatori italiani di livello in due squadre in Pro12 è stata una opportunità che avrebbe dovuto rendere più forte la nazionale che, tutto sommato, qualche successo mediatico in questi ultimi 10-15 anni l'ha avuto. Però non è bastato a trainare il movimento come si sperava. La nazionale non vince e non cresce perché il movimento professionistico che dovrebbe farle da serbatoio non cresce. Il serbatoio pro non cresce perché il campionato italiano è mediocre. Il campionato italiano è mediocre perché nessuno va a vedere le partite e quindi non arrivano i soldi che fanno crescere movimento, squadre, campionati e nazionale. Guardate il sito web della Gazzetta: il primo sport italiano è il calcio, il secondo è il calcio estero (Liga e Premier e ora anche MLS e Bundesliga); al terzo posto più o meno a parimerito NBA, F1 e tennis (tutta roba che per vederla serve Sky). Rimane un po' di ciclismo e un po' di MotoGP finché c'è Valentino, poi sparirà. Il resto è gossip su Balotelli, su Tavecchio, sulle fidanzate di CR7, sulla Vonn e su Tiger Woods. Lo sport italiano è in declino da anni, tutto. Pure il calcio, che decresce nei valori assoluti (risulati, spettatori, telespettatori e quindi soldi), ma che cresce nei valori relativi cannibalizzando qual poco che resta degli sport "minori" un tempo dignitosamente "benestanti" (volley, basket e rugby in particolare). I problemi sono IMHO due: il primo sono i soldi, ma qui c'è poco da fare se non ci sono; il secondo è banalmente drammatico: la scuola. Finché le riforme della scuola sono solo nell'ottica dei diritti sindacali degli insegnanti e la parola "educazione" non viene mai usata non se ne esce. Ovvio che in tal senso lo sport è solo il più piccolo degli ambiti della società che viene danneggiato... Portiamo sul serio lo sport a scuola? Bella idea! Insieme a educazione civica, sessuale, ambientale, stradale, sui diritti gender, a due lingue straniere, all'informatica e chissà cos'altro. Peccato che così non ci sia nemmeno più il tempo per imparare a far di conto e scrivere due frasi con un congiuntivo messo al posto giusto. In definitiva è meglio se il rugby italiano torna a un onesto dilettantismo e si mette sotto l'ombrello dei gruppi sportivi militari che sono ormai l'unica culla dello sport minore in Italia. Se le Fiamme Gialle si rompono le balle di finaziare gli sport di nicchia sono cavoli amari sul serio...

In risposta a Italiane fuori dal Pro12: una tragedia o una palla da prendere al balzo?

martedì 21 aprile 2015

Il califfo e la ruota della fortuna

 
Un terzo dei paesi musulmani è in guerra e ormai quasi tutto il medio oriente è fuori controllo. Il califfo c'è, è nero e poco conciliante. Il disatro è palese ed è vicinissimo a casa nostra. Nemmeno 700-800 morti annegati vicino alle nostre spiagge un giorno sì e quello dopo pure sembrano smuovere il nostro governo e il nostro parlamento che intanto litigano sull'Italicum, cioè giocano a Wheel of Fortune. Il nostro premier è quel che è, cioè un ex concorrente della Ruota della Fortuna ed è riuscito a far mettere a capo della diplomazia europea una così scarsa che persino Antonella Elia, quando era la valetta di Mike Bongiorno, avrebbe detto cose meno ovvie. La Mogherini è fortunata, nella mediocrità c'è sempre Laura Boldrini che la precede di una spanna.

Libia e il tesoretto del DEF

Qualcuno ammettera prima o poi il vero e unico motivo per cui non viene fatta l'unica cosa che servirebbe per fermare le stragi del mare, andare in Libia e piantarci le tende (per terra, sulla sabbia) con tutto quello che ne consegue? E cioè che non ci sono i soldi per farlo? Usiamo il tesoretto?

Google e l'Unione Europea

giovedì 5 marzo 2015

Italia-Germania 4-3

 
Reinhard Marx (il cognome è tutto un programma), a nome della conferenza dei vescovi tedeschi, annuncia: «Non siamo una filiale di Roma». Dopo anni di deboli e poco convincenti dichiarazioni inverse rivolte a frau Angela Merkel, del tipo «Non siamo una filiale di Berlino», è un bel passo avanti. Roma conta ancora qualcosa e forse val ben più di una messa...

lunedì 12 gennaio 2015

Te l'avevo detto

  
Nel film "Io, Robot" del 2004, liberamente ispirato ai racconti di Isaac Asimov, lo scettico protagonista intepretato da Will Smith, rivolgendosi dopo l'ennesimo disastro alla dottoressa Susan Calvin che si ostina a difendere i robot, dice: "non so perchè, ma 'te l'avevo detto' non rende giustizia abbastanza." A me viene in mente Oriana Fallaci.